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Obsolescenza programmata, Cos’è?

Aggiornamenti software degli smartphone che provocavano malfunzionamenti e riducono le prestazioni dei dispositivi; portando quindi gli utenti a cambiarli più frequentemente. Tradotto: obsolescenza programmata!

Ma cos’è

Dal verbo latino «obsolesco», che significa «cadere in disuso, perdere di pregio», per obsolescenza programmata si intendono tutte quelle pratiche e tecniche atte a ridurre – in modo deliberato – la vita di un dispositivo elettronico per anticiparne la sostituzione. Si invoglia quindi l’utente a sostituire il suo prodotto — uno smartphone, un computer, un tablet, ma anche una stampante o una lampadina — con il modello seguente prima che sia effettivamente necessario, con un’accelerata sul decadimento delle sue funzionalità. In Europa ci sono stati diversi tentativi di creare una legge contro l’obsolescenza programmata. Un comportamento scorretto, nei confronti dei consumatori, che si può già verificare in fase di costruzione — l’uso di materiali di scarsa qualità o la pianificazione di costi di riparazione troppo alti. La pratica è stata analizzata da diversi studi. Apple stessa, nel 2016, aveva ammesso che la durata media di vita stimata per un iPhone è di tre anni.

Tutto nasce, come detto, nella prima metà degli Anni ’20 dello scorso secolo, quando i produttori di lampadine si accordano per creare delle lampadine a incandescenza che si rompessero in metà del tempo rispetto a quanto accaduto sino ad allora (nel giro di qualche anno la vita media di una lampadina passò da 2.500 a 1.000 ore), ma non è l’unico cosa. Nel 1933, nel pieno della Grande Depressione, l’immobiliarista americano Bernard London propone di istituire l’obsolescenza programmata per legge, così da incentivare consumi e produzione e uscire dalla crisi che attanagliava il mondo. In quegli stessi anni, gli ingegneri dell’industria chimica DuPont scoprono il nylon e lo utilizzano per produrre calze da donna molto più resistenti di quelle in seta utilizzate sino ad allora. Le calze hanno, però, un grande problema: durano troppo e i vertici DuPont incaricano i loro tecnici di indebolire la fibra, in modo che i loro affari non ristagnassero fino alla chiusura degli impianti produttivi.

Una pratica commerciale scorretta è l’accusa dell’Antitrust italiana contro Apple e Samsung. Che ha portato a una sanzione di dieci milioni di euro per la prima e di cinque milioni per la seconda. L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha annunciato le decisione dopo aver accertato che «mediante l’insistente richiesta di effettuare il download e anche in ragione dell’asimmetria informativa esistente rispetto ai produttori» le società portavano i propri utenti a installare aggiornamenti su dispositivi «che non erano in grado di supportarli adeguatamente», senza però informarli della cosa né senza dare loro possibilità di ripristino della versione precedenti.

Il caso delle batterie Apple

Appena dopo lo scoppio del caso delle batterie usurate installate sui dispositivi di Cupertino, a cui la stessa società aveva risposto con una pronta ammissione di aver volutamente rallentato le prestazioni dei vecchi modelli per preservarne l’autonomia nonostante il deterioramento della batteria. Non solo: per non deludere i suoi utenti, aveva quindi abbassato i costi del cambio batteria per un intero anno, dai tradizioni 89 a soli 29 euro.

Caso Apple

Le autorità tornano ora sul caso e accusano Apple di aver «insistentemente proposto dal settembre 2016 ai possessori di vari modelli di iPhone 6 di installare il nuovo sistema operativo iOS 10» sviluppato per il modello successivo, l’iPhone 7, «senza informare delle maggiori richieste di energia e dei possibili inconvenienti». La seconda critica è il tentativo di porre rimedio a queste problematiche con un aggiornamento (iOS 10.2.1), senza avvertire «che la sua installazione avrebbe potuto ridurre la velocità di risposta e la funzionalità dei dispositivi».

Caso Samsung

Per quanto riguarda Samsung, anche qui si parte dal 2016, quando ai consumatori che avevano comprato un Galaxy Note 4 – il lancio di questo dispositivo è avvenuto nel 2014 – è stato chiesto di installare il nuovo sistema operativo Android, Marshmallow, che era stato però sviluppato per il Galaxy Note 7, «senza informare dei gravi malfunzionamenti dovuti alle maggiori sollecitazioni dell’hardware e richiedendo, per le riparazioni fuori garanzia connesse a tali malfunzionamenti, un elevato costo di riparazione».

Samsung: «Soddisfazioni clienti è obiettivo primario. Faremo ricorso»

La risposta di Samsung alla decisione delle autorità italiane pone l’accento sul principio di soddisfazione dei propri clienti, che viene definito quale «obiettivo primario, strettamente legato al proprio business». La società coreana «non condivide la decisione presa dall’Agcm» e aggiunge di non aver «mai rilasciato aggiornamenti software con l’obiettivo di ridurre le performance del Galaxy Note 4. Al contrario, Samsung ha sempre rilasciato aggiornamenti software che consentissero ai propri utenti di avere la migliore esperienza possibile». L’azienda coreana annuncia quindi di voler ricorrere in appello contro la decisione.

Esultano però le associazioni per i consumatori che con tali sentenze si è creato un precedente per azioni risarcitorie da parte degli utenti.

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