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IoT e Google: la nuova vita di Android Things

Sono ormai trascorsi tre anni e mezzo circa dall’introduzione del progetto, risalente all’epoca dell’I/O 2015 – allora si chiamava Project Brillo -, possiamo affermare che la piattaforma Android Things non è ancora stata in grado di esprimere appieno tutte le sue potenzialità. Un’iniziativa messa in campo da Google con l’obiettivo dichiarato di supportare lo sviluppo di soluzioni e la commercializzazione di dispositivi destinati all’ambito della Internet of Things, basati su hardware a basso consumo energetico, in grado di comunicare via Bluetooth LE, WiFi e attraverso il protocollo Weave. Ecco perché il gruppo di Mountain View ha deciso di aggiustare il tiro.

Android Things per i partner OEM

Come si legge in un intervento condiviso sulle pagine del blog ufficiale, il sistema operativo sarà destinato in futuro più ai partner OEM che agli sviluppatori. Una scelta con tutta probabilità maturata da bigG sulla base dei feedback fin qui raccolti e in seguito all’analisi dei risultati ottenuti dal debutto ad oggi. Sebbene Android Things abbia contribuito a spingere l’interesse nei confronti dell’IoT, non si può certo parlare di una rivoluzione innescata. Il risultato è che la piattaforma in futuro non garantirà più il supporto a SoM (System-on-Modules) basati su componenti prodotte da NXP, Qualcomm e MediaTek.

Gli starter kit di Android Things

Con l’I/O 2019 che si avvicina a passo spedito (andrà in scena dal 7 al 9 maggio), è probabile che presto ne sapremo di più sulla nuova incarnazione di Android Things e sui progetti del gruppo di Mountain View legati al mondo IoT. Un settore che finalmente sembra pronto a mostrare i muscoli, dopo tante promesse (spesso non mantenute), trovando un giusto punto di contatto con l’universo smart home e facendo leva sull’impiego di protocolli standard così da evitare un’eccessiva frammentazione che rischierebbe di rendere vani i benefici offerti dalla tecnologia stessa.

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